La Lavatrice Come Terapia: Perché Alcuni Gestiscono l’Ansia con le Faccende

Hai mai notato come, nei momenti di forte tensione, c’è chi si rifugia nel pulire casa, mettere in ordine, o magari accendere la lavatrice anche se non ce n’è davvero bisogno? Non è solo un’abitudine da maniaci dell’ordine, né un tentativo banale di distrazione. In realtà, c’è molto di più sotto: è il cervello che, in automatico, cerca una forma primitiva ma potente di autoriparazione psicologica. Dietro a un gesto così quotidiano e apparentemente insignificante come fare il bucato, si nasconde un meccanismo di regolazione emotiva che affonda le radici in strategie inconsce di gestione dell’ansia e del senso di controllo. Se anche tu ti sei mai sentito inspiegabilmente meglio dopo aver pulito la cucina o sistemato l’armadio, allora sappi che non sei affatto strano: sei solo umano.

La psicologia ci insegna che la mente, quando è sopraffatta da emozioni difficili come la paura, la preoccupazione o il senso di inadeguatezza, cerca soluzioni concrete, tangibili, e immediatamente gratificanti. L’atto di fare qualcosa che produce un risultato visibile – come il pulito che si diffonde, l’ordine che ritorna – restituisce alla persona una percezione di efficacia e padronanza sulla realtà. È come se il disordine interno trovasse un riflesso simbolico nel caos esterno, e riordinando quel caos si potesse placare l’urgenza emotiva. Non si tratta, dunque, di un semplice passatempo, ma di una strategia di coping, ovvero di fronteggiamento, che il cervello adotta per ridurre il carico emotivo.

In un mondo in cui ci sentiamo costantemente impotenti di fronte agli eventi esterni – guerre, crisi economiche, malattie, conflitti familiari – l’ambiente domestico diventa uno dei pochi territori in cui possiamo ancora esercitare il nostro potere d’azione. E tra le attività domestiche, la lavatrice è uno degli strumenti simbolicamente più interessanti. Il ciclo di lavaggio, con le sue fasi prevedibili e rassicuranti, è una metafora perfetta di purificazione, trasformazione e rinascita. Si mette dentro qualcosa di sporco, si attende un tempo definito, e ne esce qualcosa di nuovo, pulito, fresco. È un rituale che placa, struttura, regala senso. L’ansia, che per definizione è caotica e imprevedibile, si frantuma davanti alla ritualità di un gesto semplice ma carico di significato. Molte persone raccontano di sentirsi meglio dopo aver “messo a posto” qualcosa, ma spesso non riescono a spiegare il perché. In realtà, fare le faccende domestiche è un modo per spostare l’attenzione dal pensiero alla sensazione, dal mentale al corporeo, riducendo così la ruminazione. L’ansia si nutre di pensieri ripetitivi, scenari catastrofici, ipotesi mai confermate. Il corpo, invece, vive nel presente. Pulire, sistemare, muoversi, lavare: tutte queste azioni riportano alla concretezza del momento, interrompendo il flusso ansiogeno del pensiero. Non è un caso se molte tecniche di gestione dell’ansia, come la mindfulness, insistono sull’importanza di “essere qui e ora”. Fare le pulizie, per certi versi, è una forma primordiale di mindfulness attiva. Ci sono poi altri fattori che spiegano perché queste attività risultino così terapeutiche. Innanzitutto, la prevedibilità. La mente ansiosa detesta l’incertezza, ed è proprio l’impossibilità di prevedere cosa succederà che scatena il malessere. Una lavatrice, invece, non tradisce: tu imposti il programma, e lei esegue. Nessun imprevisto, nessuna sorpresa. Questo riduce il bisogno di controllo, placa l’iperattivazione mentale, e offre una tregua psicologica. Inoltre, il movimento del corpo stimola il sistema nervoso parasimpatico, quello responsabile del rilassamento, della digestione e della calma. Si innesca una catena biochimica che, a poco a poco, riduce la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress. Ovviamente, non si sta dicendo che pulire casa sia una soluzione universale o definitiva per l’ansia. Né che fare il bucato sia la risposta ai grandi drammi della vita. Ma riconoscere il valore simbolico e psicologico di questi gesti quotidiani ci permette di rivalutare ciò che spesso viene sottovalutato o considerato marginale. Ogni persona trova il suo modo per sopravvivere, per reggere il peso delle giornate difficili, per non esplodere. Alcuni parlano, altri si isolano, altri ancora puliscono. Non c’è un modo giusto o sbagliato. C’è solo la ricerca di un equilibrio.

E allora, la prossima volta che ti sorprendi a pulire con insistenza, o a mettere su una lavatrice anche se il cesto non è pieno, fermati un attimo. Non giudicarti. Ascoltati. Forse non stai fuggendo da te stesso. Forse ti stai solo curando, a modo tuo. Forse il tuo cervello, che ha più saggezza di quanto credi, ha scelto per te una forma semplice ma efficace di autoterapia. E se questa strategia ti aiuta a respirare un po’ meglio, se ti restituisce anche solo un barlume di calma in una giornata complicata, allora ben venga.

Nel mio lavoro come psicologo, ho incontrato centinaia di persone che, inconsapevolmente, hanno trovato nei piccoli gesti quotidiani la chiave per regolare le proprie emozioni. Ma la vera svolta avviene quando questi gesti diventano consapevoli. Quando capisci che dietro quel “devo pulire casa” si nasconde in realtà un “ho bisogno di ritrovare me stesso”. Ed è lì che inizia il vero cambiamento. Se vuoi approfondire questi meccanismi e scoprire altre strategie per gestire ansia, stress e insicurezze, iscriviti al sito: è gratuito, ricco di contenuti utili e sempre aggiornato. E se senti il bisogno di un supporto più personale, puoi contattarmi direttamente: sono qui per ascoltarti, senza giudizio.

Prendersi cura di sé non significa sempre meditare o andare in terapia. A volte significa semplicemente accendere una lavatrice, con la consapevolezza che ogni ciclo di pulizia è anche un ciclo di rinascita. E che la vera guarigione comincia, spesso, proprio da lì.


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