Svegliati dallo Stato di Zombie: Liberati dall’Illusione di Vivere Solo per Lavorare

Immagina di svegliarti una mattina e renderti conto che la vita ti è scivolata tra le dita. Anni trascorsi a inseguire scadenze, obiettivi, e un ritmo incessante di lavoro, solo per accorgerti che, alla fine, non c’è molto altro da mostrare se non fatica e routine. Per molte persone tra i 40 e i 50 anni, questa sensazione diventa il loro “stato di zombie”. Non parlo di creature della finzione, ma di una condizione psicologica in cui si diventa automi, mossi da abitudini e doveri, senza più una connessione con ciò che dà senso alla vita. È una crisi silente, ma devastante, in cui si vive per lavorare, perdendo la capacità di apprezzare la brevità e la bellezza dell’esistenza.

Cosa succede a queste persone?

Si trasformano in zombie, non nel senso horror del termine, ma come esseri viventi che hanno smesso di sentire, di vedere, di riflettere. Il lavoro, una volta mezzo per realizzare sogni e aspirazioni, diventa il fine stesso, un’inquietante corsa verso un futuro privo di significato. Il risultato è che si smette di vivere veramente. Ogni giorno si ripete come una copia del precedente: alzarsi, andare al lavoro, tornare a casa, e ripetere. Nel mezzo di questo ciclo, il tempo passa inesorabile. E la consapevolezza che la vita non è infinita arriva troppo tardi per chi ha vissuto così per anni, ormai bloccato in un loop psicologico. Uno dei motivi principali di questo “stato di zombie” è l’identificazione totale con il proprio ruolo lavorativo. Siamo stati educati a credere che il lavoro sia la misura del nostro valore. Non è raro sentirsi dire che il lavoro nobilita l’uomo, ma cosa accade quando il lavoro diventa tutto ciò che siamo?

Quando il nostro senso di identità si dissolve nel nostro impiego, perdiamo il contatto con noi stessi, con i nostri desideri, passioni e sogni. Ci trasformiamo in una funzione, in un titolo professionale, dimenticando che siamo esseri umani complessi, capaci di provare emozioni, relazioni, e soprattutto di vivere esperienze autentiche. Il lavoro non è intrinsecamente negativo. Può essere una fonte di soddisfazione, ma quando diventa il centro della nostra esistenza, ci conduce a uno squilibrio. Si smette di vedere il lavoro come una parte della vita e si comincia a vivere solo per esso. In questo stato di automatismo, ci si aliena, diventando spettatori della propria vita piuttosto che protagonisti. Ogni attimo che passa non viene vissuto pienamente, ma solo “attraversato” come un passaggio obbligato per arrivare al giorno successivo. Un altro aspetto che contribuisce a questo stato è la pressione sociale. La nostra cultura premia chi è costantemente occupato, chi non si ferma mai. Si glorifica la fatica, l’iperproduttività, e si giudica chi sceglie di prendersi del tempo per sé. Questi messaggi ci spingono a ignorare i segnali del nostro corpo e della nostra mente che ci chiedono di rallentare.

Il risultato?

Ci ritroviamo in uno stato di esaurimento, incapaci di provare gioia o soddisfazione, anche quando raggiungiamo obiettivi che un tempo ci sembravano importanti. L’effetto psicologico di tutto questo è devastante. La depressione, l’ansia e il burnout sono condizioni sempre più comuni tra le persone in questa fascia d’età. Si sente un vuoto interiore, un senso di perdita, come se qualcosa di fondamentale fosse stato sacrificato sull’altare della produttività. Ma cosa è stato sacrificato? La risposta è semplice: la vita stessa. Ogni giorno che passa è un giorno che non tornerà più, e quando ci si sveglia da questo stato di “zombie”, la realizzazione di quanto tempo è stato sprecato può essere opprimente.

La buona notizia è che non è mai troppo tardi per svegliarsi da questo stato. Il primo passo è prendere consapevolezza della situazione. Solo riconoscendo di essere intrappolati in una vita vuota e priva di significato è possibile iniziare il cambiamento. Questo richiede un atto di coraggio, perché significa guardarsi dentro, affrontare le proprie paure e ammettere che forse la strada che si sta percorrendo non è quella giusta. Il secondo passo è ritrovare il contatto con se stessi.

Cosa ti rende felice? Quali sono le tue passioni, i tuoi interessi, i tuoi sogni?

Per molti, queste domande sembrano banali, ma la verità è che la maggior parte delle persone ha dimenticato come rispondere a esse. Riprendere in mano la propria vita significa riscoprire ciò che ci fa sentire vivi, che ci dà energia e che ci fa battere il cuore. E non si tratta di abbandonare il lavoro, ma di riorganizzare le priorità. La vita è breve, ed è nostro compito riempirla di ciò che ha davvero valore. Sfuggire alle aspettative esterne e abbracciare un nuovo modo di vivere, basato sulla consapevolezza della propria mortalità. La consapevolezza che il tempo è limitato non deve spaventarci, ma motivarci. Ogni giorno è un’opportunità per fare qualcosa di significativo, che sia coltivare relazioni, sviluppare nuove competenze, o semplicemente godersi un momento di pace. Dobbiamo smettere di vivere come zombie e imparare a vivere con intenzione, con presenza e con gratitudine per il tempo che abbiamo.

Non lasciarti intrappolare dall’illusione che vivere significhi solo lavorare. Svegliati, riscopri te stesso e abbraccia la tua esistenza con pienezza. La vita è troppo preziosa per essere sprecata in un automatismo che ci priva della sua vera essenza.

Per ulteriori informazioni o per ricevere supporto nel ritrovare il senso della tua vita, puoi contattarmi al mio studio a Santa Marinella, tramite email simone.borreca@gmail.com o al numero 3286258945.


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