Non è Pigro, Non è Svogliato: È il Suo Cervello a Chiedere Aiuto

Capita spesso che un genitore si presenti in studio con un’espressione tra la frustrazione e lo smarrimento, raccontando di un figlio che “non ha voglia di fare nulla”, che “sembra sempre stanco”, che “rimanda tutto all’infinito” e che, nonostante le mille sollecitazioni, non mostra mai un reale interesse. In apparenza potrebbe sembrare un atteggiamento di pigrizia, un’incapacità di impegnarsi o addirittura una mancanza di volontà. Ma ciò che spesso non si vede, e che si percepisce solo se si ha la sensibilità di osservare con attenzione, è il grido silenzioso di un cervello che fatica. Non parliamo di una patologia nel senso clinico più rigido, ma di una richiesta di aiuto che si manifesta sotto forma di evitamento, lentezza, disorganizzazione o apparente disinteresse. Il cervello di alcuni bambini, adolescenti e giovani adulti non riesce a stare al passo delle richieste scolastiche, relazionali e quotidiane perché, semplicemente, funziona in modo diverso. Ha bisogno di strategie specifiche, di tempo, di comprensione e, soprattutto, di essere riconosciuto. In questi casi, etichettare un comportamento come “svogliato” diventa non solo inutile, ma dannoso. Significa non vedere ciò che c’è sotto, non cogliere quella fatica cognitiva che spesso è invisibile ma costante. Immagina un giovane con difficoltà di attenzione o con un deficit nella funzione esecutiva: riuscire a iniziare un compito, pianificare le fasi, regolare le distrazioni, mantenere l’energia e portarlo a termine diventa un’impresa titanica. Non è questione di volontà: è questione di circuiti cerebrali che faticano ad attivarsi, di connessioni che richiedono un supporto esterno per funzionare in modo efficace. Chi lavora in questo ambito lo sa bene: dietro ogni “non mi va” può nascondersi una fatica cognitiva che ha bisogno di essere ascoltata. E questo ascolto non è solo empatia o buona volontà, ma è anche competenza, capacità di valutazione e intervento mirato. Gli strumenti esistono: esistono percorsi di potenziamento cognitivo, training mirati per le funzioni esecutive, percorsi di supporto psicologico che non si limitano a motivare ma che costruiscono, giorno dopo giorno, un’autoefficacia reale, tangibile, che prende il posto della frustrazione e del senso di fallimento.

Quando il cervello chiede aiuto, non lo fa urlando. Lo fa attraverso segnali deboli, che spesso confondono: la noia cronica, la disattenzione, la procrastinazione, il ritiro sociale, il blocco nello studio. E il rischio è quello di intervenire con strumenti inadeguati, aumentando solo il senso di inadeguatezza nel ragazzo. Servono occhi nuovi per leggere questi segnali, una mente aperta e un approccio che unisca scienza ed empatia. Essere genitori oggi significa anche imparare a tradurre quei silenzi, quelle opposizioni che non nascono da una volontà di sfida, ma da una difficoltà reale. Ed è qui che entra in gioco il ruolo del professionista: aiutare le famiglie a leggere ciò che non è immediatamente visibile, fornire strumenti concreti e costruire insieme percorsi sostenibili e su misura. Perché ogni giovane ha il diritto di scoprire che può farcela, che non è rotto, che semplicemente ha bisogno di un modo diverso per esprimere il proprio potenziale.

Se leggendo queste parole hai riconosciuto tuo figlio, tua figlia, o magari te stesso da ragazzo, sappi che non sei solo. Esistono strade, soluzioni, strumenti. E, soprattutto, esiste la possibilità di cambiare la narrazione che spesso si appiccica addosso troppo presto: da “pigro” a “persona che ha solo bisogno di un nuovo modo per imparare a brillare”.

Se senti che è arrivato il momento di approfondire, di comprendere meglio cosa sta accadendo e di offrire un supporto concreto a tuo figlio, puoi contattarmi per una consulenza professionale. Sarò felice di accoglierti e valutare insieme il percorso più adatto.


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