L’abitudine di lamentarsi ti sta risucchiando la vita senza che te ne accorga

Ogni giorno, in ogni angolo del mondo, esiste una forma di veleno silenzioso che corrode l’energia mentale, logora le relazioni, svuota l’entusiasmo e spegne l’anima: la lamentela cronica. È un gesto automatico, quasi inconsapevole, che si insinua nei pensieri e nelle conversazioni come una goccia che scava la pietra. Ci si lamenta del traffico, del tempo, del lavoro, delle persone, dei soldi, dei politici, della stanchezza, della sveglia al mattino e persino del silenzio quando tutto sembra andare bene. Ma cosa succede davvero nella nostra mente quando la lamentela diventa un’abitudine quotidiana?

Dal punto di vista psicologico, la lamentela reiterata è una strategia difensiva, un meccanismo con cui cerchiamo di prendere le distanze dalle responsabilità, di trovare un colpevole esterno per evitare la fatica di guardarci dentro. In apparenza, sembra sfogo, un modo per alleggerire la tensione. Ma a lungo andare diventa un boomerang che ritorna indietro, amplificando il malessere. Non è un caso che chi si lamenta in modo costante sperimenti un senso crescente di impotenza, apatia e vuoto. Perché lamentarsi non risolve nulla, anzi, rafforza le connessioni neurali del pensiero negativo, rendendo la visione del mondo sempre più buia e distorta.

La mente umana si adatta a ciò che ripete. Ogni volta che formuliamo una lamentela, rafforziamo un circuito neurale. E quei circuiti, a lungo andare, diventano vere e proprie autostrade mentali, percorsi privilegiati della coscienza. È come se dicessimo al nostro cervello: “Questo è ciò che voglio notare”. E lui, diligente, si metterà a selezionare nella realtà tutti quegli stimoli che confermano la nostra visione pessimistica. Così, chi si lamenta del lavoro inizierà a notare solo colleghi scortesi, mansioni inutili, capi incompetenti. Chi si lamenta del partner vedrà solo difetti, dimenticando tutto il buono che ha. La lamentela diventa una lente che deforma e restringe la realtà.

Non solo: la lamentela è contagiosa. In psicologia si parla di contagio emotivo, ovvero la tendenza degli esseri umani a imitare inconsciamente gli stati d’animo di chi li circonda. Una persona che si lamenta in un gruppo è in grado di abbassare l’energia di tutti. E questo genera un circolo vizioso in cui le conversazioni si appiattiscono, l’umore collettivo cala, e l’insoddisfazione diventa il collante relazionale. Come se condividere la stessa frustrazione ci facesse sentire meno soli. Ma a quale prezzo?

Eppure, dietro ogni lamentela si nasconde un bisogno. E qui sta la chiave trasformativa. Se invece di limitarci a brontolare, iniziamo ad ascoltare ciò che il nostro malessere vuole dirci, possiamo trasformare la lamentela in consapevolezza. “Mi lamento sempre del tempo che manca”: forse non sto gestendo bene le mie priorità. “Mi lamento del mio compagno”: forse ho bisogno di comunicare di più o riconnettermi ai miei desideri. “Mi lamento del mio corpo”: forse sto cercando un’attenzione che non mi do da tempo. Ogni lamento, se accolto con onestà, può diventare un faro che illumina una zona d’ombra della nostra psiche. Un’opportunità, non una condanna. In terapia, spesso invito le persone a tenere un diario delle lamentele, dove per una settimana annotano ogni pensiero o frase di lamentela, senza giudizio. Il risultato è sorprendente. Si accorgono di quanto spazio mentale sia occupato dal vittimismo, e iniziano a sviluppare un nuovo tipo di attenzione. Alcuni iniziano a ridere di sé, altri si sentono scossi. Ma tutti, in qualche modo, iniziano a prendere le distanze dal copione ripetitivo che li teneva prigionieri.

Un altro passo potente è sostituire la lamentela con la gratitudine. Non come gesto forzato o positivo a tutti i costi, ma come allenamento intenzionale alla realtà. Ogni sera, scrivere tre cose per cui si è grati. Anche piccole: una passeggiata, un messaggio ricevuto, un buon caffè. Questo semplice esercizio modifica la neurochimica del cervello, stimolando la produzione di serotonina e dopamina, ormoni del benessere. In poche settimane, la mente impara a cercare ciò che funziona invece di ciò che manca. E la percezione del mondo cambia. Chi si lamenta troppo, si spegne dentro, perché rinuncia al potere di scegliere. Si affida al caso, alla sfortuna, agli altri. Si convince che tutto sia fuori dal suo controllo. Ma non è vero. Possiamo scegliere cosa pensare, come reagire, dove mettere l’attenzione. Possiamo interrompere la spirale del lamento e accendere una scintilla nuova. Serve coraggio, certo. Ma è un coraggio che nasce dalla consapevolezza, non dalla perfezione. Smettere di lamentarsi non significa accettare tutto, né negare il dolore. Significa iniziare a scegliere in che direzione vogliamo andare.

Questo articolo è nato per scuoterti, per farti riflettere, ma anche per offrirti una via d’uscita. Se ti sei riconosciuto in queste righe, sappi che non sei solo. Il cambiamento è possibile, anche partendo da piccoli passi. Se senti il bisogno di essere accompagnato in questo percorso, puoi contattarmi. Sono il Dott. Simone Borreca, psicologo e psicoterapeuta, e ogni giorno lavoro con persone come te, che hanno deciso di riprendersi in mano la propria vita.

Iscriviti al sito: è gratuito, ma può valere come un primo passo verso una nuova consapevolezza. Ogni settimana troverai articoli, spunti, riflessioni che possono aiutarti a ritrovare la direzione. Perché il benessere psicologico non è un lusso, ma un diritto. E tu hai il diritto di sentirti vivo, presente, acceso.

Non spegnerti per abitudine. Accenditi per scelta.


Scopri di più da Dott.Simone Borreca Psicoterapeuta CBT Home

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Scopri di più da Dott.Simone Borreca Psicoterapeuta CBT Home

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere