Più Carrello, Meno Emozioni: Quando lo Shopping Diventa un’Anestesia Affettiva

Hai mai provato quella strana soddisfazione nel cliccare su “acquista ora” dopo una giornata storta? Hai mai sentito un brivido di sollievo nel sentire il rumore delle buste che si riempiono, come se ogni oggetto fosse una carezza sull’anima? Non sei solo. Anzi, sei in buona compagnia. Lo shopping, da semplice azione pratica e funzionale, si sta trasformando sempre più in una strategia emotiva, una sorta di rifugio silenzioso dove molti si nascondono per non sentire il vuoto, per non guardare in faccia quel dolore che brucia sotto la superficie. In un mondo che ci bombarda di stimoli e aspettative, fare acquisti è diventato un modo per anestetizzare le emozioni. Un’illusione di controllo, di appagamento, di identità. Ma sotto quella patina lucida di promozioni e vetrine perfette, si nasconde qualcosa di molto più profondo, qualcosa che ha a che fare con la psicologia, con le ferite emotive e con la nostra crescente incapacità di restare in contatto con ciò che proviamo davvero. Quando una persona, senza accorgersene, comincia a colmare il proprio tempo con acquisti compulsivi, spesso non sta semplicemente soddisfacendo un bisogno, sta cercando di sedare un’emozione che fa troppo rumore dentro. La tristezza, la solitudine, la rabbia, l’ansia… tutte queste sensazioni possono diventare scomode, ingombranti, difficili da reggere. E così, invece di affrontarle, iniziamo a distrarci. E tra tutte le distrazioni che la modernità ci offre, lo shopping è tra le più subdole e socialmente accettate. Nessuno ti guarda storto se esci da un negozio con tre borse in mano. Anzi, spesso vieni addirittura elogiato: sei elegante, curato, alla moda. Ma ciò che gli altri non vedono è cosa c’è dietro a quell’acquisto. Cosa hai provato prima di cliccare su “paga ora”. Cosa hai evitato di sentire mentre sceglievi la taglia, il colore, il modello.

Dal punto di vista psicologico, l’atto dell’acquisto attiva aree specifiche del cervello legate alla gratificazione immediata. Quando compriamo qualcosa, si libera dopamina, lo stesso neurotrasmettitore coinvolto nel piacere e nella ricompensa. Per un attimo, ci sentiamo bene. Ma è solo un attimo. Perché quel benessere non è autentico, è costruito su una base fragile, momentanea. E il problema non è l’oggetto in sé, ma il motivo per cui lo desideriamo. Quando usiamo il carrello come anestetico, non stiamo comprando qualcosa per il suo valore, ma per quello che rappresenta emotivamente: una tregua dal dolore, una pausa dalla confusione, un silenzio momentaneo nel caos interno. Le emozioni non elaborate, però, non spariscono. Restano lì, congelate sotto strati di abiti nuovi, trucchi, oggetti per la casa, gadget tecnologici. E col tempo si accumulano, fino a diventare un peso. È a questo punto che molte persone si accorgono che lo shopping, anziché essere una soluzione, è diventato un problema. Non solo economico, ma relazionale, identitario. Perché il paradosso è che, nel tentativo di colmare un vuoto, finiamo col crearne uno ancora più grande. Comprare non ci rende più forti, non ci rende più amati, non ci rende più stabili. Al contrario, ci allontana sempre di più da ciò che davvero ci serve: contatto, ascolto, comprensione, accettazione. La società ci spinge verso questa dinamica. Ci dice che valiamo per ciò che possediamo, che siamo ciò che mostriamo, che l’unico modo per sentirsi meglio è consumare. E noi, spesso inconsapevoli, cadiamo nella trappola. Ma c’è un modo per uscirne. E non è smettere di comprare, non è demonizzare lo shopping, ma imparare a riconoscere le emozioni che ci spingono a farlo. Fermarsi un attimo prima di mettere un oggetto nel carrello, chiedersi: “Perché lo voglio davvero? Cosa sto cercando in questo momento?”. Questo semplice gesto può aprire la porta a un cambiamento profondo.

Se senti che ti stai rifugiando troppo spesso tra gli scaffali dei negozi o tra le pagine di un e-commerce, forse è il momento di ascoltarti. Di chiederti cosa ti manca davvero. E di sapere che non sei solo. Molte persone vivono la stessa dinamica, spesso in silenzio, per vergogna, per paura di essere giudicate. Ma il benessere psicologico parte proprio da qui: dalla consapevolezza, dalla gentilezza verso se stessi, dal coraggio di guardare oltre le apparenze.

Ricorda, il tuo valore non è dentro una scatola di scarpe o in un profumo costoso. Il tuo valore è in ciò che senti, anche quando fa male. È nella tua capacità di restare, di affrontare, di crescere. E se senti che è difficile farlo da solo, sappi che esistono professionisti pronti ad ascoltarti. Come psicologo e psicoterapeuta, so quanto sia delicato questo equilibrio, e quanto sia importante affrontarlo senza giudizio ma con competenza e umanità.

La buona notizia è che si può uscire da questo schema. Si può imparare a stare con le proprie emozioni, ad accoglierle senza fuggire, a trovare altre forme di conforto più autentiche e durature. Magari iniziando proprio da qui, da questo spazio dove puoi leggere, riflettere e, se vuoi, abbonarti gratuitamente per ricevere contenuti pensati per chi, come te, ha voglia di capire, di cambiare, di stare meglio.

Ogni articolo è scritto per toccare corde profonde, per offrire spunti veri, non finti consigli da rivista. Questo è un luogo in cui puoi tornare ogni volta che senti il bisogno di silenzio, di verità, di connessione. E se leggendo queste parole ti sei riconosciuto, se hai sentito che parlavano anche di te, allora forse è il momento giusto per iniziare un percorso. E se hai bisogno, sai dove trovarmi.


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