
Hai una memoria di ferro, ti ricordano tutti per la tua capacità di conservare ogni dettaglio, ogni volto, ogni data. Ti senti quasi fiero di non dimenticare nulla, come se fosse un superpotere. Ma se ti dicessi che non è sempre un pregio? Se questa ipermemoria non fosse un dono, ma una corazza? Nell’epoca in cui tutti si lamentano di dimenticare troppo, tu sei l’eccezione. Eppure, dietro questa perfezione mnemonica si nasconde, spesso, un meccanismo più profondo e molto più umano: la paura di dimenticare chi sei. O, forse, il timore che, nel lasciar andare anche solo un frammento, qualcosa di te possa andare perso per sempre.
La mente umana è straordinaria, ma non è solo una macchina da archiviazione. È anche un filtro, un selezionatore emotivo. Conserva ciò che ha valore, cancella ciò che fa male. O, al contrario, tiene in ostaggio proprio quei ricordi che non ci permettiamo di lasciar andare. Quando ricordiamo troppo, quando nulla si perde nel tempo, può essere un segnale che qualcosa dentro di noi si è fermato. Un lutto irrisolto, un trauma non affrontato, una parte della nostra identità che non siamo ancora pronti a lasciare andare. Ecco allora che la memoria diventa un’àncora, non un’alleata. Ci aggrappiamo al passato per non affrontare il presente, riviviamo ogni evento per non guardarci allo specchio. Quante volte, dietro la perfezione del ricordo, si cela una paura profonda di smarrirsi? Di non riconoscersi più? Quante volte ci rifugiamo nel passato perché il presente non ci rispecchia o il futuro ci spaventa? Ricordare ogni dettaglio può diventare una forma sottile di controllo, una difesa psicologica contro la perdita del sé. Nella mia pratica clinica ho incontrato persone che ricordavano con estrema precisione episodi anche lontanissimi, senza che ne avessero mai parlato prima. Il tono della voce di un padre, lo sguardo della madre in un pomeriggio di pioggia, la frase precisa detta durante una lite. Quando chiedevo perché proprio quel ricordo, cadeva il silenzio. Spesso seguiva una lacrima, poi una verità: “Non posso permettermi di dimenticare chi sono stato, perché ho paura di non sapere più chi sono adesso.”
La memoria, in questi casi, non è solo funzione cognitiva: è un rifugio emotivo. È come se la mente dicesse: “Se ricordi tutto, non puoi perderti”. Ma a quale prezzo? Perché a volte ricordare tutto significa non vivere più nulla nel presente. Ogni cosa che accade viene confrontata con ciò che è già stato. Ogni esperienza è contaminata dal passato. E così, mentre sembriamo vivi, in realtà stiamo solo replicando schemi. Non è un caso che la psicologia moderna stia rivalutando il valore dell’oblio. Dimenticare non è un difetto, è un atto di pulizia emotiva. È lasciare spazio al nuovo, al possibile. È il modo che ha il cervello per alleggerirsi e proteggersi. Invece, trattenere tutto significa spesso non riuscire più a distinguere ciò che conta davvero. Ci ritroviamo pieni di informazioni e poveri di emozioni. Ricordiamo le date ma non sentiamo più il senso. Molti pazienti arrivano in terapia dicendo “non riesco a dimenticare” come se fosse una maledizione. Ma quando si scava più a fondo, si scopre che non vogliono dimenticare perché hanno paura che, senza quei ricordi, la loro identità si sgretoli. Come se fossero fatti solo di passato e non avessero il diritto di costruirsi nel presente. Ma la verità è un’altra: sei molto più di ciò che ricordi. Sei anche ciò che scegli di lasciar andare. E allora la domanda diventa scomoda ma necessaria: stai ricordando tutto davvero perché ne hai bisogno… o perché non vuoi affrontare il vuoto che resterebbe senza quei ricordi? Perché la memoria selettiva è un’illusione. Se resti ancorato a tutto, forse non ti stai dando il permesso di cambiare. E crescere, a volte, significa anche permettersi di dimenticare chi siamo stati, per aprirsi a chi potremmo essere. La prossima volta che ti sorprendi a ricordare con eccessiva precisione qualcosa, chiediti: è utile o è solo una stampella emotiva? A cosa mi sto aggrappando? E soprattutto, che cosa sto evitando di vivere nel qui e ora? Perché la memoria non è nemica, ma neppure regina. È solo una parte di te. E non puoi vivere in pienezza se non impari a distinguere ciò che ti serve da ciò che ti zavorra. Vivere bene non significa ricordare tutto. Significa scegliere cosa portare con sé e cosa lasciare andare. Come una valigia troppo piena, la mente ha bisogno di leggerezza. Non per dimenticare, ma per vivere meglio. Per fare spazio al presente, all’inatteso, al cambiamento.
Se ti riconosci in queste parole, se senti che il tuo passato è diventato troppo ingombrante o che la tua memoria è diventata la tua gabbia dorata, sappi che non sei solo. Esistono percorsi, strumenti, professionisti pronti ad accompagnarti verso una consapevolezza più autentica. Io sono qui per questo.
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